Il debutto a Roma dell’artista sudcoreano Lee Gihun, offre un’intensa riflessione sui cambiamenti climatici e sulla consapevolezza ambientale, espressa attraverso il suo linguaggio artistico unico. Le sue opere, che fondono elementi fantastici con atmosfere contemplative, sottolineano l’urgenza di tutelare la biodiversità del pianeta, spronandoci a rivedere il nostro rapporto con la natura e ad abbracciare una visione più sostenibile.

 

Nei suoi dipinti, Gihun dà vita a un mondo insieme magico e disilluso, popolato da figure infantili mascherate immerse in paesaggi silenziosi e desolati. Questi personaggi, pronti ad affrontare un futuro incerto, incarnano una fusione di speranza e resilienza di fronte alla crisi ambientale. L’alternanza tra atmosfere malinconiche e tocchi di leggerezza crea una tensione sottile tra ciò che è familiare e ciò che inquieta, mettendo in evidenza la fragile condizione del nostro pianeta.


Le opere riflettono anche sulla visione dualistica tipica dell’Occidente, che divide spirito e materia e ha contribuito ad allontanare l’uomo dalla natura. Con una critica a questo atteggiamento egocentrico, l’artista suggerisce che proprio questa separazione abbia aggravato le crisi ecologiche che affrontiamo oggi. Le figure mascherate diventano così simboli di una duplice condizione: la fragilità ma anche la resilienza dello spirito umano di fronte alla distruzione ambientale.


Attraverso l’uso di colori acrilici e pastelli a olio, Gihun dà forma alle sue composizioni stratificando le texture con grande cura. Integra poi materiali riciclati — come ritagli di carta da parati in seta tipica delle case coreane e avanzi di materiale scolastico — per coinvolgere lo spettatore nel riconoscere il legame profondo tra uomo e ambiente. In questo modo, invita a riflettere sull’importanza di uno stile di vita più sostenibile e armonioso. Il suo lavoro è un vero e proprio richiamo visivo, che ci spinge a ripensare il rapporto con il pianeta e il futuro che stiamo costruendo.